Attributi rel: come usare nofollow, sponsored e ugc per la SEO

link juice

Tabella dei Contenuti

Hai comprato decine di backlink, ma le tue pagine stagnano ancora in terza e quarta pagina su Google? O, peggio ancora, hai ricevuto una sanzione da Google per la presenza di link non naturali che partono dal tuo sito? In entrambi i casi, probabilmente hai commesso un errore e sottovalutato la differenza tra rel=‘nofollow’, rel=‘sponsored’ e rel=‘ugc’. Vale a dire, non hai considerato che gli attributi dei link possono  avere un impatto potenziale sul tuo posizionamento e sulla sicurezza della tua pagina agli occhi dei motori di ricerca. E gestire i link del tuo sito senza conoscere gli attributi rel è un po’ come prestare la carta di credito al primo che passa: forse va tutto bene, forse ti prosciugano il conto. Pardon, il Pagerank!

Per non commettere errori, prima cosa da fare: contatta un’agenzia di link building (spoiler: la nostra va benissimo!).

Cosa sono gli attributi dei link: definizione e funzione

I link HTML non sono tutti uguali. Al loro interno possono nascondere istruzioni specifiche per dire a Google — e ai browser — come trattarli. Queste istruzioni sono gli attributi dei link, e vengono inseriti direttamente nel codice del tag <a> per qualificare il collegamento.

L’attributo più influente, in ottica SEO, è rel. È un’aggiunta al link che specifica la relazione tra la pagina di partenza e quella di destinazione. Serve ai crawler per capire se quel collegamento rappresenta un endorsement, una pubblicità, un contributo dell’utente, una versione alternativa della pagina o altro ancora. In base al valore che gli assegni — nofollow, sponsored, ugc, canonical, solo per citarne alcuni — puoi guidare il comportamento dei motori di ricerca. E anche la tua reputazione online.

Gli altri due attributi spesso menzionati insieme a rel sono:

  • target: stabilisce dove si apre il link (ad esempio, in una nuova scheda con target=”_blank”).
  • title: aggiunge un’informazione testuale che compare come tooltip al passaggio del mouse. Utile per l’utente, ma con impatto SEO trascurabile.

Gestire in modo corretto gli attributi dei link è oggi una competenza base per chiunque si occupi di contenuti online, SEO o sviluppo. Non è una questione solo tecnica, ma una vera e propria dichiarazione d’intenti nei confronti dei motori di ricerca. Trascurarli significa lasciare che altri decidano per te — e non sempre Google è clemente.

Guida pratica agli attributi rel: quali sono e come usarli

L’attributo rel è uno strumento potente, un frammento di codice piccolo ma capace di cambiare il modo in cui Google interpreta i tuoi link. Se sai come usarlo correttamente, però. Aggiunto all’interno di un tag <a>, serve a dichiarare la natura del collegamento: si tratta di un consiglio per il motore di ricerca, che può decidere se seguirlo o meno. Ecco perché ogni valore dell’attributo rel ha un significato specifico e va usato con criterio, a seconda della situazione.

Ancora di più, definiscono il rapporto tra le pagine e influenzano il modo in cui i crawler interpretano e classificano i link. In ottica SEO, un uso consapevole ti permette di controllare (o almeno di tentare di controllare) a chi trasferire autorevolezza, quando dichiarare un legame commerciale e come proteggere il tuo sito da legami potenzialmente dannosi.

Il valore più noto è nofollow, storicamente introdotto per arginare il fenomeno dello spam nei commenti. Ma oggi l’attributo rel include diverse varianti, ciascuna con una funzione ben precisa. Google stesso ha ampliato le opzioni disponibili per riflettere una rete sempre più complessa, introducendo nuovi valori pensati per migliorare la trasparenza e aiutare i webmaster a differenziare la natura dei link.

Conoscere e usare questi attributi nel modo corretto non è solo una questione tecnica: è un atto editoriale. Significa dichiarare se stai raccomandando una risorsa, se sei all’interno di una partnership retribuita o se il collegamento è stato inserito da un utente esterno senza controllo redazionale.

Nofollow, sponsored, ugc: il trittico della SEO moderna

Partiamo dagli attributi dei link più rilevanti per la SEO.

E soprattutto da rel=”nofollow”, in assoluto il più conosciuto e, per anni, passepartout per dire a Google: non seguire questo link, non trasmettere autorità. Rappresenta infatti la volontà di non trasferire fiducia verso la pagina linkata. Sebbene oggi Google lo interpreti come un semplice suggerimento, resta uno strumento efficace per proteggere il sito da collegamenti poco affidabili, inseriti in contesti in cui non vuoi trasmettere valore. È tipicamente utilizzato nei commenti, nei forum, nei link pubblicitari o in qualsiasi situazione in cui, da autore o editore, non intendi assumerti la responsabilità del contenuto linkato.

In sintesi, puoi usarlo quando:

  • non vuoi trasferire link juice a un sito esterno
  • non approvi il contenuto linkato
  • inserisci link in contesti a rischio spam (ad esempio, nei commenti)

Come detto, oggi Google lo interpreta come un suggerimento, non come un ordine assoluto. Quindi: meglio usarlo con consapevolezza, non come scappatoia universale.

Dal 2019, Google ha introdotto due nuove varianti per migliorare la granularità dell’attributo rel: sponsored e ugc. Il primo serve a indicare in modo esplicito che un collegamento è frutto di un accordo economico — come nel caso di articoli sponsorizzati, link di affiliazione, banner a pagamento o collaborazioni commerciali. Non pensare che sia una sorta di atto di (auto)accusa: è un modo per essere trasparenti. Usarlo correttamente significa evitare di essere accusati di pratiche manipolative.

Il secondo, ugc (User Generated Content), è pensato per identificare i link inseriti direttamente dagli utenti, ad esempio nei commenti, nei profili o nei post generati su piattaforme aperte o partecipative. Se il contesto lo richiede, può essere combinato con nofollow o sponsored. Ad esempio, la stringa <a href=”https://example.com” rel=”ugc sponsored”>link</a> dice a Google che il link è sia sponsorizzato sia generato dall’utente.

La combinazione dei tre valori ti può essere utile nei casi ambigui, per descrivere situazioni complesse in cui un link è, ad esempio, sia generato da un utente sia sponsorizzato. In questo modo, fornisci a Google una descrizione più precisa della natura del collegamento, aiutando il motore di ricerca a valutarlo nel modo più opportuno.

Ma rel=”follow” esiste davvero? Chiarimenti su un falso mito

Ma come solo tre attributi dei link per la SEO? E il follow? Siamo di fronte a uno degli equivoci più diffusi nel nostro settore, il mito dell’attributo rel=”follow” o dofollow. Nonostante siano espressioni usate quotidianamente da molti SEO specialist, non esiste alcun attributo HTML valido con questi valori.

Il comportamento “follow” — ovvero l’azione predefinita con cui un crawler segue un link e ne trasferisce valore — è implicito, non ha bisogno di essere dichiarato. Se un link non contiene nofollow, sponsored, ugc o altri attributi specifici, Google lo interpreta come naturale e ne segue il percorso. Di conseguenza, espressioni come “link dofollow” o rel=”follow” sono tecnicamente scorrette, anche se ormai consolidate nell’uso comune.

Comprendere questa distinzione è fondamentale per evitare errori concettuali: non esiste un modo per forzare un link a essere seguito, ma solo per chiedere esplicitamente che non lo sia. L’assenza di un filtro equivale a una piena apertura.

Altri valori dell’attributo rel: indicazioni tecniche e casi specifici

Oltre ai tre valori principali utilizzati in ambito SEO, esistono altri attributi rel con funzioni diverse, legati spesso alla struttura del sito, alla gestione dei contenuti duplicati o alla sicurezza dei link esterni. Usare correttamente gli attributi rel significa avere il controllo sul flusso di autorevolezza, sulla trasparenza dei tuoi contenuti e sul modo in cui i motori di ricerca leggono il tuo sito.

Il valore canonical, ad esempio, non si applica direttamente ai link ma viene inserito nel tag <link> all’interno del <head> della pagina per indicare quale sia l’URL preferito tra più versioni di uno stesso contenuto. È uno strumento essenziale per evitare problemi legati alla duplicazione e per consolidare la reputazione di una pagina specifica agli occhi dei motori di ricerca: segnala a Google qual è la versione “ufficiale” di una pagina, quella che vorremmo far posizionare, anche se non sempre poi il motore di ricerca segue pedissequamente l’indicazione.

Il valore alternate è invece utilizzato per indicare versioni alternative della stessa pagina, spesso in lingue diverse o per dispositivi differenti. Viene impiegato principalmente in contesti multilingua o mobile-first, dove è necessario segnalare la presenza di contenuti paralleli pensati per segmenti di pubblico diversi. Se ben configurato, migliora l’esperienza utente e la copertura delle SERP multilingua.

Esistono poi attributi come noopener e noreferrer, che rispondono a esigenze di sicurezza e privacy. In particolare, noopener impedisce che la finestra di destinazione di un link — soprattutto quando aperto in una nuova scheda tramite target=”_blank” — possa accedere all’ambiente della pagina di origine. Questo riduce il rischio di attacchi attraverso il cosiddetto window.opener. Invece noreferrer impedisce il passaggio delle informazioni relative alla pagina di provenienza (referrer, l’informazione su chi ha generato il click), evitando che il sito di destinazione sappia da dove è arrivato l’utente. Sebbene non abbiano impatti diretti sulla SEO, questi attributi sono spesso inseriti automaticamente dai CMS più diffusi: è buona prassi mantenerli, soprattutto nei link verso l’esterno, perché danno un piccolo contributo alla protezione dell’integrità del sito.

Ufficialmente esistono ancora, ma non sono più considerati da Google ai fini dell’indicizzazione, i valori rel=”prev” e rel=”next”: fino a qualche anno fa, servivano per specificare la paginazione di contenuti lunghi e per legare logicamente una serie di pagine. In pratica, prev indicava la pagina precedente, mentre next la pagina successiva. Come detto, dal 2019 Google ha chiarito che questi segnali non influenzano più il modo in cui i contenuti vengono scoperti e mostrati nei risultati di ricerca. Per gestire la paginazione, oggi è preferibile utilizzare una struttura interna chiara, link coerenti e una buona organizzazione semantica dei contenuti.

Evoluzione degli attributi dei link: dalla semantica web alla SEO

Capire come si è arrivati agli attuali attributi dei link significa ricostruire un pezzo di storia del web, attraverso aggiornamenti tecnici ma, soprattutto, l’evoluzione culturale che riflette il modo in cui sono cambiati i concetti stessi di autorevolezza, fiducia e controllo sulle informazioni online. Quello che oggi chiamiamo rel è nato ben prima che la SEO diventasse una disciplina, e le sue radici affondano in un’epoca in cui il web era pensato per essere leggibile da esseri umani e interpretabile da macchine.

Il passaggio da strumenti pensati per la “relazione semantica” tra pagine a quelli orientati alla “gestione della reputazione” nei motori di ricerca racconta molto di come il ruolo del link si sia trasformato: da semplice ponte tra documenti a vero e proprio segnale di qualità, influenza e, spesso, valore commerciale.

Le origini del rel: dal web semantico all’HTML moderno

Il primo impiego dell’attributo rel risale agli anni ’90, quando il W3C introdusse i primi standard HTML per migliorare la leggibilità e la struttura delle relazioni tra documenti ipertestuali. L’idea, fortemente voluta da Tim Berners-Lee, era quella di fornire ai browser e ai sistemi automatici un’indicazione su come interpretare un collegamento: un link poteva puntare a una risorsa d’aiuto (rel=”help”), a un autore (rel=”author”), a un documento alternativo o a un’area di navigazione.

In quella fase, rel non aveva alcuna implicazione SEO: era un attributo semantico, pensato per descrivere la natura del contenuto linkato, non per influenzare il comportamento dei crawler. Ma con l’esplosione dei motori di ricerca e l’introduzione di PageRank da parte di Google, i link hanno iniziato ad assumere un nuovo significato: non solo connessione, ma segnale di fiducia.

L’introduzione del nofollow: la risposta allo spam e alla manipolazione dei link

Nel 2005, Google — insieme a Yahoo! e MSN Search — annunciò l’introduzione di un nuovo valore dell’attributo rel: nofollow. Era la risposta a un problema crescente e difficile da arginare: l’abuso dei link nei commenti, nei forum e nelle piattaforme aperte, utilizzati per manipolare artificialmente il ranking delle pagine.

Con rel=”nofollow”, i motori di ricerca si impegnavano a non trasferire autorità alla pagina di destinazione, trattando quel link come un semplice segnale, privo di valore SEO. All’epoca, l’interpretazione era rigida: il link non sarebbe stato seguito, né preso in considerazione. In pochi mesi, nofollow divenne lo standard nei principali CMS — da WordPress a Blogger — e uno dei primi strumenti in mano ai webmaster per difendere la qualità dei propri siti.

Negli anni successivi Google ha progressivamente modificato il modo in cui interpreta questo attributo: oggi nofollow è considerato un hint, ovvero un suggerimento. Il motore di ricerca può decidere autonomamente se seguirlo o meno, in base al contesto e alla qualità generale della pagina.

Una nuova fase nella classificazione dei link: sponsored e ugc

Nel settembre 2019 Google ha annunciato una svolta nel modo di gestire i link artificiali. Accanto a nofollow sono stati introdotti due nuovi valori: sponsored e ugc. L’obiettivo era chiaro: superare la logica binaria del follow / nofollow, permettendo una classificazione più precisa e trasparente dei link.

Il valore rel=”sponsored” serve a segnalare i link frutto di un accordo economico: link a pagamento, contenuti sponsorizzati, affiliazioni. Google raccomanda di utilizzarlo ogni volta che un collegamento nasce da una collaborazione commerciale. Non si tratta di una penalizzazione, ma di un’indicazione che tutela entrambe le parti, chi pubblica e chi legge.

Parallelamente, rel=”ugc” (User Generated Content) è stato pensato per identificare i link inseriti dagli utenti, come quelli presenti nei commenti, nei forum o nelle piattaforme partecipative. Anche in questo caso, l’obiettivo non è “punire” quel tipo di contenuti, ma permettere a Google di valutare correttamente la loro provenienza e affidabilità.

Entrambi i valori si possono usare in combinazione con nofollow, oppure tra loro, per descrivere situazioni ibride. La loro introduzione ha segnato un’evoluzione importante: oggi chi pubblica contenuti ha più strumenti per gestire la propria reputazione e per mantenere un profilo di link naturale e ben strutturato.

La diffusione globale degli attributi rel: dati e utilizzo reale

Nonostante siano nati come specifiche tecniche, gli attributi rel sono diventati ormai parte integrante del modo in cui i siti vengono progettati e valutati. Secondo dati raccolti da strumenti SEO come Ahrefs e Semrush, una porzione significativa dei link pubblici online contiene l’attributo nofollow, spesso applicato in modo automatico da CMS e piattaforme di pubblicazione.

Le statistiche più affidabili indicano che oltre il 50% dei link esterni in ambienti ad alto traffico (blog, forum, social media) sono marcati come nofollow. La diffusione di sponsored e ugc, invece, è più contenuta, ma in crescita: la loro adozione è legata soprattutto a realtà editoriali strutturate, agenzie e progetti con policy di trasparenza ben definite.

Questi numeri non vanno letti solo in chiave tecnica, ma anche come un segnale del cambiamento culturale: i webmaster stanno imparando a usare gli attributi rel non solo per “proteggersi”, ma per comunicare intenzionalmente con i motori di ricerca. È una forma di metadiscorso, che racconta come vogliamo che i nostri link vengano interpretati.

L’impatto degli attributi dei link sulla SEO: come influenzano crawling, indicizzazione e link juice

Gli attributi dei link non sono semplici dettagli di markup, perché hanno un impatto diretto e indiretto sul modo in cui un sito viene interpretato dai motori di ricerca, sia a livello di struttura interna che di reputazione esterna. Gestire correttamente i valori dell’attributo rel permette di influenzare il crawling, l’indicizzazione, il passaggio di autorevolezza (link equity) e la percezione generale del sito.

Non si tratta di fattori di ranking in senso stretto — Google lo ha chiarito più volte — ma di segnali che aiutano a definire il contesto e la qualità delle relazioni tra pagine. In altre parole: un link può non influenzare il posizionamento da solo, ma il modo in cui è marcato può incidere sul modo in cui Google interpreta l’intera rete di connessioni. Per questo motivo, l’uso consapevole degli attributi rel non è un dettaglio accessorio, ma una leva strategica per proteggere e valorizzare il profilo SEO di un sito.

Uno degli effetti più rilevanti degli attributi rel è la loro capacità di indirizzare — o interrompere — il flusso di autorità tra le pagine. In passato, il valore nofollow era interpretato rigidamente: un link con rel=”nofollow” non veniva seguito dai crawler e non trasmetteva PageRank. Oggi, Google adotta un approccio più flessibile: considera nofollow, sponsored e ugc come segnali e può scegliere autonomamente se seguirli o meno.

In concreto, questo significa che un link contrassegnato con uno di questi attributi potrebbe comunque essere esplorato dal crawler, ma non sarà necessariamente considerato un endorsement. L’effetto principale è sul modo in cui Google attribuisce valore alle relazioni tra siti: l’uso sistematico di link nofollow può ridurre la dispersione di autorevolezza verso l’esterno, ma non sempre è una strategia vincente, soprattutto se blocca anche collegamenti a fonti affidabili.

Dal punto di vista dell’indicizzazione, l’uso corretto degli attributi rel aiuta Google a comprendere meglio le intenzioni del publisher: se un sito distingue chiaramente i contenuti editoriali da quelli sponsorizzati, o i commenti degli utenti dagli articoli ufficiali, è più facile che venga considerato affidabile e ben gestito.

I link nofollow servono ancora? Tra valore indiretto e utilità tattica

Nel tempo, quindi, l’attributo nofollow ha perso parte della sua rigidità, ma non la sua rilevanza. Anche se oggi Google può scegliere di ignorarlo, il suo utilizzo resta importante per definire la qualità e la sicurezza del profilo di link di un sito. In particolare, è utile per:

  • Segnalare link di cui non si condivide il contenuto.
  • Limitare la trasmissione di valore verso pagine esterne poco rilevanti.
  • Gestire in modo sicuro i contributi degli utenti.

In ottica SEO, i link nofollow non trasmettono direttamente autorità, ma possono generare traffico, notorietà e visibilità. Un link nofollow da una fonte autorevole può portare utenti qualificati e, in alcuni casi, innescare link naturali (follow) da altri siti. In questo senso, anche se non spostano l’ago della bilancia in termini di ranking, possono contribuire a una strategia complessiva di acquisizione visibilità e costruzione di reputazione.

Gli attributi sponsored e ugc come strumenti di trasparenza

Contrassegnare correttamente i link sponsorizzati o generati dagli utenti è una forma di tutela, non solo nei confronti di Google ma anche verso i lettori. L’attributo sponsored, in particolare, protegge da eventuali penalizzazioni legate a schemi di link a pagamento, dichiarando esplicitamente che il collegamento è frutto di un accordo economico.

Allo stesso modo, ugc permette di separare chiaramente i contenuti controllati dalla redazione da quelli inseriti spontaneamente dalla community. È una distinzione che Google tiene in considerazione per valutare la qualità e l’affidabilità di un sito. L’inserimento di questi attributi segnala un comportamento virtuoso, trasparente, coerente con le linee guida per i webmaster.

In ottica SEO, quindi, sponsored e ugc non offrono vantaggi “tecnici”, ma rappresentano indicatori di qualità editoriale, che possono fare la differenza nella percezione complessiva del sito.

Come verificare e gestire gli attributi rel nel tuo sito

Conoscere la teoria sugli attributi rel è solo il primo passo. Per evitare errori, penalizzazioni o semplicemente link gestiti male, è fondamentale passare all’analisi concreta: come capire se un link è nofollow? Dove controllare se un attributo è stato applicato correttamente? Quali strumenti usare per individuare criticità o ottimizzazioni possibili?

La gestione degli attributi rel richiede un approccio duplice: da un lato, ti serve una verifica manuale nei punti chiave del sito; dall’altro, è necessario affiancare strumenti di crawling e analisi SEO per avere una visione d’insieme e lavorare in modo scalabile. Ogni sito ha dinamiche diverse — CMS automatici, plugin, contenuti generati dagli utenti, collaborazioni editoriali — ed è proprio in questa complessità che l’uso corretto degli attributi rel può fare la differenza tra un profilo di link solido e uno vulnerabile.

Analisi manuale: come ispezionare i link e leggere gli attributi

Il primo metodo per verificare un attributo rel è anche il più semplice: l’ispezione del codice HTML della pagina. Basta cliccare con il tasto destro sul link da analizzare, selezionare “Ispeziona” (o “Inspect” nei browser in inglese) e osservare il codice sorgente. Se il tag <a> contiene un attributo rel=”nofollow”, sponsored, ugc o altro, sarà visibile direttamente nella struttura.

Questo tipo di controllo è utile per interventi puntuali: revisionare link inseriti manualmente, controllare l’output di un plugin, o verificare il comportamento di un CMS. Attenzione: molti sistemi applicano automaticamente certi attributi (ad esempio WordPress aggiunge noopener noreferrer ai link con target=”_blank”), ma non sempre in modo coerente con le necessità SEO. Per questo è importante conoscere le impostazioni di base della propria piattaforma e, quando necessario, intervenire sul template o tramite script personalizzati.

Strumenti SEO per il controllo degli attributi a livello globale

Se gestisci un sito medio-grande o lavori su più progetti, l’ispezione manuale non è sufficiente né possibile. In questi casi, entra in gioco il supporto degli strumenti di crawling e analisi SEO, in grado di scandagliare migliaia di pagine e restituire un quadro completo della situazione.

Tool come Screaming Frog SEO Spider, Sitebulb, Ahrefs, Semrush o Ryte permettono di:

  • Estrarre tutti i link interni ed esterni presenti sul sito.
  • Filtrare quelli con attributi rel specifici.
  • Individuare anomalie o incoerenze (come link sponsorizzati non dichiarati, link esterni senza nofollow, link interni marcati erroneamente).

Molti di questi strumenti offrono anche esportazioni in CSV o Excel, utili per lavorare offline, produrre report o pianificare interventi correttivi. Inoltre, permettono di segmentare per tipologia di pagina, template o area del sito, semplificando l’individuazione di pattern problematici (ad esempio: tutti i link nei commenti hanno effettivamente rel=”ugc”?).

Plugin e configurazioni CMS: come automatizzare la gestione

In ambienti gestiti tramite CMS, una parte della gestione degli attributi rel può — e spesso deve — essere automatizzata. La maggior parte dei sistemi di pubblicazione moderni prevede impostazioni per aggiungere automaticamente nofollow ai link esterni, contrassegnare i contenuti generati dagli utenti o integrare relazioni come noopener e noreferrer per motivi di sicurezza.

Plugin come Yoast SEO, Rank Math o All in One SEO Pack per WordPress permettono di configurare con precisione:

  • Quando e come applicare attributi rel ai link in uscita
  • Se marcare automaticamente i link nei commenti
  • Se distinguere tra link editoriali e link sponsorizzati

Tuttavia, l’automatismo non garantisce accuratezza. È sempre preferibile un controllo editoriale per evitare generalizzazioni dannose (come il nofollow indiscriminato su tutti i link) e per adattare le regole alle esigenze specifiche del tuo progetto. Automatizzare va bene, se lo fai con consapevolezza.

Quando intervenire: segnali, priorità e criticità

Sapere dove guardare è importante, ma capire quando intervenire è ciò che distingue una buona gestione da una strategia davvero efficace. Ti segnaliamo rapidamente dei casi in cui è prioritario rivedere gli attributi rel:

  • Link sospetti o inseriti senza supervisione (in contenuti UGC o guest post).
  • Errori sistemici introdotti da plugin o aggiornamenti.
  • Migrazioni di sito, replatforming o refactoring di template.
  • Revisione del profilo backlink e audit di penalizzazione.

In tutti questi casi, la gestione degli attributi rel diventa uno strumento operativo per preservare la fiducia di Google e l’integrità del profilo SEO. Curarli significa ridurre i rischi, ma anche comunicare meglio con i motori di ricerca. E questo, alla lunga, fa la differenza.

Best practice e consigli operativi per l’uso degli attributi dei link

L’uso corretto degli attributi dei link è cruciale non solo per la visibilità su Google, ma anche per la sicurezza del sito e l’esperienza dell’utente, lo abbiamo detto. In realtà, basta seguire alcune best practice per ottimizzare il profilo dei tuoi link e ridurre i rischi associati a pratiche scorrette.

  • Quando usare follow e quando nofollow

L’attributo rel=”nofollow” è utile quando vuoi evitare che Google consideri un link come un passaggio di autorità o “link juice”. Ecco alcune situazioni tipiche in cui dovresti usare nofollow:

  • Link pubblicitari e sponsorizzati: quando collabori con partner o hai inserito contenuti pubblicitari, assicurati che il link contenga quanto meno il nofollow (se non pure il rel=sponsored) per non trasferire il valore SEO alla pagina di destinazione.
  • Commenti generati dagli utenti: nei forum e nelle sezioni di commenti, usa nofollow per evitare il link spam e UGC per specificare ancor meglio i link.
  • Link non rilevanti per il SEO: se il link non è significativo per la strategia SEO, per esempio collegamenti a risorse di bassa qualità, è meglio marcarli come nofollow.

Invece, è consigliabile lasciare regolarmente il follow a link naturali e utili: quando il link rimanda a una risorsa che ha un valore intrinseco, come una fonte autorevole o un contenuto di qualità, è opportuno trasferire l’autorità al sito collegato e favorire la sua indicizzazione. Non preoccuparti: non ti “ruberà” alcun valore SEO, anzi sarà un segnale positivo di corretta menzione e attribuzione della fonte.

  • Gestione dei link nei contenuti generati dagli utenti

I contenuti generati dagli utenti (UGC) sono una risorsa preziosa, ma richiedono una gestione attenta dei link per evitare spam o link manipolativi. Ecco come gestirli correttamente:

  • Rel=ugc: quando i link provengono da commenti, recensioni o forum, utilizzali con l’attributo rel=ugc per indicare che sono contenuti generati dagli utenti. Questo aiuta Google a riconoscere che questi link potrebbero non essere stati creati con l’intento di manipolare il ranking.
  • Moderazione: anche con rel=ugc, è importante moderare i contenuti per evitare che link dannosi o non pertinenti vengano pubblicati. La gestione proattiva dei contenuti UGC previene che il sito venga penalizzato per link di bassa qualità.
  • Autorizzazione ai link esterni: quando permetti agli utenti di inserire link, stabilisci linee guida chiare per l’approvazione. Ad esempio, potrebbe essere utile richiedere che i link siano pertinenti al contesto o legittimi per l’argomento trattato.

Implementando queste best practice, riuscirai a mantenere un profilo di link sano, migliorare la tua SEO e proteggere il tuo sito da penalizzazioni indesiderate.

Conclusioni operative: cosa fare (e non fare) con gli attributi rel

Gestire correttamente gli attributi rel non significa diventare maniaci del codice, ma avere chiaro come funziona la comunicazione tra le tue pagine e Google. Gli attributi dei link non vanno trattati come un tecnicismo secondario, ma come uno strumento strategico per orientare il comportamento dei crawler, tutelare la reputazione del sito e dare un contesto corretto ai collegamenti ipertestuali.

Usa rel=”follow” (insomma: lascia il campo rel in bianco!) ogni volta che segnali una risorsa autorevole, un partner fidato o un contenuto che merita davvero visibilità e link juice. Se controlli editorialmente la pagina di destinazione e vuoi passarle fiducia agli occhi di Google, è il contesto giusto.

Usa rel=”nofollow” per link a contenuti che non vuoi supportare direttamente, come affiliazioni non trasparenti, fonti dubbie o risorse inserite a scopo puramente informativo ma non raccomandate. È anche una protezione nei confronti di siti esterni poco affidabili, quando devi citarli ma non vuoi dare loro “credito”.

Usa rel=”sponsored” per qualsiasi link che implichi una forma di compenso economico o scambio pubblicitario. È l’unico modo per essere chiari e onesti con i motori di ricerca ed evitare fraintendimenti (e penalizzazioni).

Usa rel=”ugc” in tutti i contesti dove i link sono inseriti dagli utenti: commenti, forum, recensioni, piattaforme di domande e risposte. È un’etichetta che segnala la provenienza del link e riduce i rischi legati allo spam o ai contenuti non controllati.

Evita di mischiare gli attributi a caso: combinazioni come rel=”nofollow sponsored ugc” sono legittime ma devono avere senso nel contesto. Se un link è sponsorizzato e inserito da un utente, allora sì, ha senso. Altrimenti, meglio essere essenziali e coerenti.

Monitora costantemente i link in uscita dal tuo sito. Strumenti come Ahrefs, Screaming Frog o Sitebulb permettono di individuare rapidamente attributi rel, anchor text sospetti e link potenzialmente pericolosi. Anche una semplice ispezione HTML può bastare per fare un controllo veloce sulle pagine più critiche.

In sintesi, trattare bene gli attributi dei link vuol dire:

  • informare i motori di ricerca con trasparenza;
  • proteggere il tuo profilo link da abusi o errori;
  • migliorare la SEO senza trucchi, ma con buone pratiche.

E se ti è capitato di chiudere gli occhi davanti a un attributo rel scritto “tanto per”, ora è il momento di tornare in quella riga di codice e sistemarla. Perché sì, anche una piccola etichetta può fare una grande differenza.

Tabella dei Contenuti

Altri post